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Margini: intervista a Niccolò Falsetti, Francesco Turbanti e Zerocalcare

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Ecco la nostra intervista a Niccolò Falsetti, Francesco Turbanti e Zerocalcare, rispettivamente regista/sceneggiatore, attore/sceneggiatore e special thanks di Margini, l’unico film italiano selezionato nel Concorso della 37° Settimana della Critica a Venezia 79.

Margini, recensione del film di Niccolò Falsetti

Elodie: le foto del red carpet a Venezia 79

Elodie, la cantante al suo debutto al cinema come attrice incanta il red carpet di Venezia 79. L’artista ha accompagnato il cast del film del quale è protagonista: Ti mangio il cuore. Il film scritto e diretto da Pippo Mezzapesa vede protagonisti al fianco della cantante Francesco Patanè, Francesco Di Leva, Lidia Vitale, Brenno Placido, Tommaso Ragno, Michele Placido

Ecco tutte le foto di Elodie sul red carpet del Festival di Venezia

La trama del film

Puglia. Arso dal sole e dall’odio, il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una terra arcaica da Far West, in cui il sangue si lava col sangue. A riaccendere un’antica faida tra due famiglie rivali è un amore proibito: quello tra Andrea, riluttante erede dei Malatesta, e Marilena, bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si opporrà con forza di madre a un destino già scritto.

Margini: intervista ai protagonisti Emanuele Linfatti e Matteo Creatini

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Emanuele Linfatti e Matteo Creatini, protagonisti di Margini, raccontano com’è stato lavorare all’unico film italiano nella selezione ufficiale della 37° Settimana della Critica a Venezia 79.

Margini, recensione del film di Niccolò Falsetti

Emanuele Crialese presenta L’Immensità, il suo film più personale

Presentato nel Concorso di Venezia 79, L’immensità è il nuovo film di Emanuele Crialese, con protagonista Penelope Cruz, e oggi protagonista al Lido. L’immensità, spiega Crialese, “è una storia che mi riguarda molto da vicino, è la mia storia in chiave poetica, sarebbe riduttivo definirlo il mio ‘coming out’, il pubblico penserebbe ad un film sulla transizione ma non è affatto così”.

Il film, che arriverà in sala il 15 settembre, è ambientato in una Roma “metafisica” degli anni ’70, e racconta la storia di una famiglia in cui la madre, infelice, cresce tre figli, la maggiore delle quali rifiuta il suo nome e la sua identità sensuale. In merito alla classificazione di genere, Crialese dice: “I tempi sono cambiati, ai giovani di oggi le classificazioni di genere non interessano più, in questo sono maestri, portatori di una nuova sensibilità, maschio, femmina, sono quel che sono, prima di tutto esseri umani”.

Il regista, che nel film non racconta solo se stesso ma anche la sua famiglia e sua madre, dice: “Sono figlio del mio tempo, ma i tempi oggi sono cambiati. Le famiglie vanno sostenute quando ci sono da fare certi percorsi, mia madre era da sola, non sapeva dove sbattere la testa. Ho cambiato la ‘a’ con la ‘e’ e ho dovuto lasciare un pezzo del mio corpo, ma io sono uomo e no, donna e no e voglio rimanere così e spero di non minacciare nessuno per questo”.

Siamo di fronte al film più personale nella carriera del regista: “L’Immensità – spiega infatti Emanuele Crialeseè il film che inseguo da sempre: è sempre stato ‘il mio prossimo film’, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro. È un film sulla memoria che aveva bisogno di una distanza maggiore, di una consapevolezza diversa. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro relazione con una madre che poteva prendere vita solo nell’incontro, artistico e umano, con Penelope Cruz, con la sua sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con tre giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima. Luana, Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre, e come tali sempre intensamente e immensamente veri”.

“I temi che mi appassionano sono sempre quelli: la donna, i bambini, la migrazione, la transizione. Poi invento storie per raccontare quelle situazioni. Ho dovuto aspettare, per acquisire consapevolezza di me, del mio percorso, del linguaggio cinematografico. Le cose bisogna raccontarle quando si sa parlare, si è capace di esprimersi. Questa storia per me ha rappresentato una rinascita”.

Elodie racconta il suo esordio al cinema in Ti mangio il cuore

Era uno dei momenti più attesi di Venezia 79, l’esordio di Elodie al cinema con Ti Mangio il Cuore, di Pippo Mezzapesa, nella selezione di Giornate degli Autori. La cantante dà corpo e voce alla prima pentita della mafia foggiana, un personaggio, quello di Marilena, di cui ha detto di essere orgogliosa. 

C’è il rischio che l’attenzione sul suo esordio al cinema possa togliere luce e spazio al film?

“Da tempo avevo pensato che sarebbe stato bello fare un’esperienza da attrice – risponde Elodie – ma attendevo la magia, una storia che mi colpisse e che mi desse la possibilità di fare qualcosa di diverso da quello che faccio quando canto.” E così è nata la volontà di interpretare Marilena. “La sceneggiatura mi ha mostrato un personaggio bello e autentico, molto sfaccettato. Marilena è una donna vera, e ho pensato che fosse pretenzioso da parte mia voler interpretarla ma era anche molto interessante. Ho accettato di parlare con lei, anche perché mi consentiva di andare molto più in profondità rispetto al solito, dal momento che faccio musica di intrattenimento, principalmente. Lidia Vitale mi ha aiutata tanto sul set e non era scontato che un’attrice tanto navigata potesse avere la voglia di starmi accanto e di aiutarmi.”

Elodie 2022
Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Di Marilena, personaggio ispirato alla prima collaboratrice di giustizia appartenente alla mafia foggiana, Elodie ha detto: “Sarei orgogliosa di ciò che ha fatto una donna del genere, lei che ha scelto la vita per il bene dei suoi figli, ha deciso di non stare a certi schemi, di uscire da un loop. Sarei orgogliosa.”

E rispetto al lavoro di attrice che ha inaugurato proprio con questo film, la popstar italiana ha detto: “Con questo lavoro, ho scoperto delle cose di me, anche grazie agli altri, ai miei colleghi e alle collaborazioni. Lavorare insieme ti permette di scoprirti, mi sono trovata più volte in difficoltà e ho trovato persone che mi hanno sostenuta intorno a me. Mi piacerebbe replicare l’esperienza, ma sempre scegliendo con attenzione i progetti e starci dentro, immergermi. Potrebbe diventare un ottimo modo di lavorare su me stessa e fare terapia.”

Darren Aronofsky e Brendan Fraser presentano l’enorme The Whale, in concorso a Venezia 79

Darren Aronofsky, Brendan Fraser e Sadie Sink hanno presentato in anteprima a Venezia 79 il nuovo film del regista, The Whale. Visibilmente emozionati per il ritorno del regista al Festival dopo Madre! (2017), il cast ha raccontato il loro lunghissimo viaggio – durato quasi 10 anni – per produrre il film.

Aronofsky ha raccontato come si è approcciato per la prima volta al testo teatrale di The Whale. “Ho letto il copione e lo volevo fare subito. Negli ultimi anni abbiamo perso così tanto e il cinema è soprattutto una questione di possibilità: questo è un grandissimo momento per me. Mi ricordo benissimo che lessi una recensione dello spettacolo teatrale sul New York Times, sono andato a vederlo subito, mi sono commosso. Ho voluto poi mettermi in contatto con l’autore Samuel D. Hunter e abbiamo discusso le possibilità di adattare questo film su schermo. Tutti i personaggi sono così ricchi e umani, era un bellissimo copione per poter lasciare fluire la mia immaginazione“.

Il movimento nello spazio gioca un ruolo fondamentale in The Whale: la storia si svolge all’interno di un’ambientazione claustrofobica, che tiene quasi come prigioniero questo uomo gigante. Cosa ha spinto Aronofsky ad interessarsi a un dramma molto più emotivo e contenuto rispetto al suo stile? “Ho iniziato con 20mila dollari per fare il primo film, quelli che sembrano limiti in realtà stimolano soltanto di più quello che fai. Ero interessato non solo all’ambientazione in uno spazio chiuso ma anche a un uomo che non poteva muoversi facilmente. Impari sempre di più da questi personaggi, pian piano metti insieme i pezzi, è una sceneggiatura che ti accende il cervello, sapevo che questo copione avrebbe interessato il pubblico“.

La mobilità fisica di Charlie è limitata al suo spazio vitale, che è sostanzialmente il divano. La sua storia è raccontata a porte chiuse, ma c’è una luce nell’oscurità. Lui manifesta il suo trauma tramite il fisico. Ho dovuto imparare a muovermi in modo nuovo, sentivo le vertigini alla fine di ogni giorno di prova, questo mi ha fatto apprezzare ancora di più il mio corpo. Devi essere una persona molto forte mentalmente per poter abitare un corpo come questo“, ha aggiunto Fraser. “Penso che Charlie sia il personaggio più eroico che io abbia mai interpretato. Questo è il suo viaggio. Tra tutti gli eroi che ho interpretato, lui è L’EROE“.

Uno dei temi fondamentali di The Whale è il potere salvifico della letteratura, come ha spiegato l’autore del testo teatrale Samuel D. Hunter: Charlie cerca la verità in questa storia, ci sono delle verità brutali del suo passato che non può affrontare, ma deve farlo per salvare le persone vicino a lui. Volevo scrivere la storia di un insegnante di inglese che deve riconnettersi con la figlia e lo vuole fare anche tramite la letteratura”. “C’è tanto di me in questa sceneggiatura. Ho avuto un problema col cibo, ero un ragazzo gay in una scuola cattolica, volevo passare questa mia storia a qualcuno che ne avrebbe capito il senso di speranza e la fede nelle persone perchè è ciò che mi ha salvato“.

Per quanto riguarda il processo di casting per The Whale, Aronofsky ha raccontato che gli ci sono voluti quasi 10 anni per trovare l’interprete perfetto per Charlie. “Ho considerato ogni singola star sulla faccia della terra, ma nessuna mi ha convinto veramente. Poi ho trovato il trailer di un film brasiliano low budget in cui c’era Brendan. E ho capito tutto. Ci siamo incontrati ed è andato tutto benissimo. Sadie, invece, è la mia nuova giovane attrice preferita, ho avuto i brividi dal primo momento in cui si sono incontrati questi due e hanno letto il copione.

Le persone non sono in grado di non preoccuparsi per gli altri. Questa è la prospettiva di vita di Charlie e credo che sia il miglior messaggio da lasciare al mondo in questo momento. Stiamo tutti andando verso la disillusione ma non dobbiamo farlo, dobbiamo prenderci cura l’uno dell’altro“, questo il messaggio finale che, secondo Darren Aronofsky, The Whale dovrebbe trasmettere.

Rebecca Zlotowski racconta il suo personale viaggio ne I figli degli altri, in concorso a Venezia 79

La regista Rebecca Zlotowski porta in concorso a Venezia 79 I figli degli altri, film basato su un’esperienza autobiografica e che mira a raccontare il tema della maternità da una prospettiva differente.

La trama de I figli degli altri ruota attorno a Rachel è una donna di quarant’anni, senza figli. Ama la sua vita: gli studenti del liceo in cui insegna, gli amici, il suo ex, le lezioni di chitarra. Quando si innamora di Ali, stringe un legame profondo anche con Leila, la figlia di quattro anni dell’uomo. Le rimbocca le coperte prima di dormire, se ne prende cura, le vuole bene come se fosse sua. Ma amare i figli degli altri è un grosso rischio.

Proprio partendo dal nucleo della sceneggiatura, la regista ha parlato del suo approccio a una storia tanto personale ma che riflette preoccupazioni e sentimenti universali. “Quando si parla di maternità, spesso si creano due fazioni: c’è chi ha fatto questa esperienza e dice che non si può vivere senza. Ma io volevo trasmettere il messaggio che puoi comunque voler sempre dire qualcosa come donna, puoi tracciare il tuo cammino anche senza avere figli. Ho cercato di trovare un equilibrio in termini di storytelling tra le diverse ideologie, che oggigiorno sono anche politiche. Il mio film ha comunque un’ideologia, e sta nel fatto che una donna può esistere anche senza dei figli, c’è una presa di posizione rispetto al fatto che una donna può realizzarsi anche senza figli. La scrittura è sempre un lavoro che cerca di mescolare elementi della quotidianità ed emozioni che potremmo provare: io ho voluto raccontare come sarebbe potuta essere la mia vita, se non fossi stata una regista“.

Abbiamo poi potuto sentire il parere degli attori protagonisti su una questione tanto dedicata, confrontando il punto di vista femminile a quello maschile. La protagonista Virginie Efira ha dichiarato: “Quando ho letto la sceneggiatura di Rebecca ho colto immediatamente la descrizione che voleva fare del momento di una vita della donna che non ho mai visto rappresentato al cinema e che corrisponde a una riflessione che ho fatto a livello personale. Stiamo parlando di qualcosa che appartiene a tutte le donne, fa parte di una sorte di desideri da parte di una donna che spesso si scontrano con l’impotenza e che si può anche esprimere senza avere figli, ma tramite un personaggio che è matrigna della figlia di un compagno. Ci sono tante domande nella sceneggiatura e non abbiamo bisogno di risposte: a me bastava riconoscermi in quelle domande“.

Ha poi proseguito Roschdy Zem: “Voglio condividere con voi l’emozione di sentirmi privilegiato di portare sullo schermo una storia così tipica del 21esimo secolo. Il fatto che una regista abbia avuto l’idea di questo progetto apre la porta a una nuova era della tradizione cinematografica. Ci sono una serie di soggetti e tematiche nuove nel cinema, mai state affrontate prima d’ora nel linguaggio cinematografico. Per me il futuro del cinema è femminile: o sarà donna o non sarà“.

Un aspetto interessante de I figli degli altri è l’indagine interiore anche di Leila, la bambina cui la nostra protagonista stringe un legame inedito. “É sicuramente difficile riuscire a tracciare un ritratto dei bambini nella loro ambivalenza all’interno di una storia. Da un lato sono una benedizione, dall’altro possono anche essere un peso nella vita, anche se sono degli esseri nei confronti dei quali noi proviamo un bene immenso. Alla base del fare un figlio c’è questo conflitto e io volevo mostrarlo. Può anche accadere che non piacciano i figli del compagno che ci scegliamo. Nel cinema siamo cresciuti vedendo rapporti idilliaci tra famiglie e figli. All’inizio del film io ho semplicemente tratteggiato l’innamoramento, volevo più che altro dare una caratterizzazione ai singoli personaggi, non soffermarmi sulla storia d’amore. Virginie è un’insegnante, ha un rapporto molto intimo con la figura infantile. Alla base, è una storia semplice ma arriviamo a coglierne tutte le sfumature“.

Nel film, incontriamo anche il regista Frederick Wiseman in un cameo inedito e Rebecca Zlotowski ha parlato del rapporto che si è instaurato nel corso degli anni tra i due: “Ci siamo incontrati su un ascensore a Venezia, io ero giudice di Orizzonti. Io avevo scarpe brillantinate, lui giganti e sportive. ‘Scarpe da regista’, mi dice lui, ‘Scarpe da regista’, ribatto io riferendomi alle mie. Ci siamo poi incontrati più volte, lui vive a Parigi. Mi è venuto in mente che lui ama recitare ed è una persona scherzosa, con un grande senso dell’umorismo. Gli è piaciuto moltissimo fare questo cameo assolutamente comico. Prima di fare la regista, sono stata insegnante di cinema, in particolare di documentari e mi piace pensare che questa figura possa essere definita come un ricercatore nel museo dell’uomo, mi piaceva l’idea che Wiseman rispecchiasse questo interpretando un ginecologo“.

Rebecca Zlotowski ha poi concluso con una riflessione molto profonda sul ruolo delle donne nella società odierna. “La posizione delle donne è cambiata lentamente ma negli ultimi sessant’anni abbiamo visto che ha assunto anche un importantissimo ruolo sociale, oltre che privato. Riusciamo a definirci in modo differente rispetto al ruolo materno che ci è stato tradizionalmente assegnato. Sicuramente, è ancora fin troppo diffusa l’idea dell’orologio biologico che scadrà, ma dobbiamo chiederci come vogliamo definirci rispetto alla vita che vogliamo fare. É il momento in cui dobbiamo dire che possiamo non volere figli, che l’aborto deve essere un diritto, anche se c’è tanto dolore in tutto ciò. Forse mi sento legittimata a dire questo perchè sono una donna francese e abbiamo solidi diritti. Ma voglio fare sentire la mia voce, questo film è una vera e propria lettera d’amore per tutte le persone che erano come me qualche anno fa“.

Master Gardener: recensione del film di Paul Schrader

Presentato fuori concorso a Venezia 79, Master Gardener è il terzo e probabilmente ultimo capitolo di quella che potremmo definire una trilogia sulla dicotomia tra punizione e redenzione di Paul Schrader, iniziata con First Reformed e proseguita con il più recente The Card Counter. In particolare, Master Gardener si pone come riflessione ultima dell’autore sul potere redentivo dell’amore contro l’oscurità annichilente. Un nuovo esercizio di quel cinema trascendentale di cui Schrader si è confermato pioniere e concetto sviluppato nella sua famosa tesi di dottorato, “The Transcendental Style in Film“.

I fiori di un giardino psicologico

Master Gardener racconta la storia di Narvel Roth, il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. Si dedica tanto alla cura dei giardini di questa bellissima e storica tenuta, quanto all’assecondare la sua datrice di lavora, la ricca signora Norma Haverhill. Quando la signora Haverhill gli chiede di assumere come nuova apprendista la sua bisnipote Maya, ribelle e problematica, il caos si insinua con prorompenza nella spartana esistenza di Narvel. Nel cast, Joel Edgerton (Narvel Roth), Sigourney Weaver (Mrs. Haverhill), Quintessa Swindell (Maya), Eduardo Losan (Xavier).

Con Master Gardener siamo di fronte a un corpus filmico che non funziona sulla base della prosecuzione di una storia, ma attraverso la ripetizione e la declinazione differente di archetipi narrativi e filmici già ben consolidati da Schrader. Una messa in scena ordinata e austera, personaggi che scovano la loro tridimensionalità attraverso un cammino sofferto che passa per il potere della catarsi cinematografica e del minimalismo tecnico.

Master Gardener: l’ultimo saluto di Schrader

Laddove First Reformed e The Card Counter univano viaggi personali a temi scottanti – la crisi climatica nel primo caso, le ferite inflitte alla psiche yankee dalla lotta amorale contro il terrorismo globale – in Master Gardener questa cornice contemporanea non scompare, ma si fluidifica nello spettro visibilissimo della storia di un uomo profondamente tormentato dal passato.

Il razzismo radicato nella società america e l’esistenza di una parte dell’America che, dimenticata dal sistema, cerca rifugio nell’estremismo sono tematiche funzionali al delinearsi di un arco caratteriale estremamente controverso, che deve ricalcare le tracce del passato violento aggrappandosi a un’esistenza spartana, in cui la cura dell’Altro e l’insegnamento sono parte fondamentale di un cammino che conduce al messaggio forse più romantico che Schrader abbia mai posto su schermo.

È l’onnipresente voce fuori campo del protagonista a condurci poeticamente dentro di sè, raccontandoci come la resilienza fondante la vegetazione debba farci contemplare anche sulla nostra esistenza e, soprattutto, sopravvivenza. La storia di Narvel esiste nei confini della soggettività del suo personaggio ma si apre quanto mai alla speranza tramite l’incontro di psicologie inedite in Schrader, che si sofferma in maniera arguta su due diverse declinazioni del femminile, rappresentate da una rosa matura (Sigourney Weaver) e da un bocciolo di cui è necessario prendersi cura, nonostante le resistenze iniziali (Quintessa Swindell). Attraverso il ricongiungimento con la fisicità delle cose, la terra, la manualità, si curano non solo giardini ma anche anime. E proprio l’anima di Schrader sembra cavalcare con grandissimo affetto una sorta di seconda giovinezza, incapsulata dalla luminosità di Maya (Swindell).

Con First Reformed ci siamo chiesti se Dio, in ultima istanza, ci perdonerà; con The Card Counter siamo a passati a una riflessione ancora più intimista, se siamo in grado di perdonare noi stessi. In Master Gardener, la risposta a queste domande trova soluzione nei legami e nella speranza più pura. “Non avrei mai voluto andarmene senza fare un film che dicesse al mondo ti voglio bene“, ha dichiarato Scharader. Nel silenzio contemplativo con cui Narvel si dedica alla scrittura privata, ci apriamo alla condivisione del saluto di un immenso Maestro, che consegna a una nuova generazione di attori le chiavi per aprire i giardini della sua eredità.

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere ha conquistato più di 25 milioni di spettatori nel mondo

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Amazon ha annunciato che Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere ha conquistato più di 25 milioni di spettatori nel mondo nel suo primo giorno, battendo tutti i record precedenti e divenendo il più grande debutto nella storia di Prime Video. La serie è stata lanciata in esclusiva su Prime Video in oltre 240 Paesi e territori in tutto il mondo.

Jennifer Salke, head of Amazon Studios, ha dichiarato: “È in qualche modo appropriato che le storie di Tolkien – tra le più popolari di tutti i tempi e che molti considerano la vera origine del genere fantasy – ci abbiano condotto sino a questo momento d’orgoglio. Sono molto grata al Tolkien Estate – e ai nostri showrunner J.D. Payne e Patrick McKay, al produttore esecutivo Lindsey Weber, al cast e alla  crew – per il loro instancabile impegno collettivo e la loro sconfinata energia creativa. E sono le decine di milioni di fan che hanno visto la serie – chiaramente appassionati quanto noi della Terra di Mezzo – la reale misura del nostro successo”. Gli episodi de Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere saranno disponibili ogni settimana sino al finale di stagione del 14 ottobre su Prime Video.

La serie tv Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere

Il Signore degli Anelli: Gli Anelli del Potere di Prime Video porterà per la prima volta sugli schermi le eroiche leggende della mitica Seconda Era della storia della Terra di Mezzo. Questo dramma epico si svolge migliaia di anni prima degli eventi narrati in Lo Hobbit e Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien, e porterà gli spettatori in un’era lontana in cui furono forgiati grandi poteri, regni ascesero alla gloria e caddero in rovina, improbabili eroi furono messi alla prova, la speranza appesa al più esile dei fili, e uno dei più grandi cattivi usciti dalla penna di Tolkien minacciò di far sprofondare tutto il mondo nell’oscurità. Partendo da un momento di relativa pace, la serie segue un gruppo di personaggi, alcuni già noti, altri nuovi, mentre si apprestano a fronteggiare il temuto ritorno del male nella Terra di Mezzo. Dalle più oscure profondità delle Montagne Nebbiose, alle maestose foreste della capitale elfica di Lindon, all’isola mozzafiato del regno di Númenor, fino ai luoghi più estremi sulla mappa, questi regni e personaggi costruiranno un’eredità che sopravvivrà ben oltre il loro tempo.

La serie è guidata dagli showrunner ed executive producer J.D. Payne e Patrick McKay. A loro si uniscono gli executive producer Lindsey Weber, Callum Greene, J.A. Bayona, Belén Atienza, Justin Doble, Jason Cahill, Gennifer Hutchison, Bruce Richmond e Sharon Tal Yguado, e i produttori Ron Ames e Christopher Newman. Wayne Che Yip è co-executive producer e regista con J.A. Bayona e Charlotte Brändström.

Opera letteraria di fama mondiale premiata con l’International Fantasy Award e il Prometheus Hall of Fame Award, nel 1999 Il Signore degli Anelli è stato eletto dai clienti Amazon come il libro preferito del millennio e nel 2003 come il romanzo più amato di tutti i tempi nel Regno Unito nello show di BBC The Big Read. I libri de Il Signore degli Anelli sono stati tradotti in oltre 38 lingue e hanno venduto più di 150 milioni di copie.

Venezia 79: oggi è il giorno di Crialese con L’Immensità

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Oggi è il grande giorno di un altro regista italiano, al lido arriva in concorso alla 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, L’immensità, il nuovo film del regista Emanuele Crialese che sarà accompagnato con la sua protagonista, la bellissima Penelope Cruz. Il film, prodotto da Wildside (Mario Gianani, Lorenzo Gangarossa), Chapter 2 (Dimitri Rassam), Warner Bros. Entertainment Italia, Pathé, (Ardavan Safaee), France 3 Cinema, vede nel cast anche Luana Giuliani, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti.

La trama del film L’Immensità

Roma, anni Settanta: un mondo sospeso tra quartieri in costruzione e varietà televisivi ancora in bianco e nero, conquiste sociali e modelli di famiglia ormai superati. Clara e Felice si sono appena trasferiti in un nuovo appartamento. Il loro matrimonio è finito: non si amano più, ma non riescono a lasciarsi. A tenerli uniti, soltanto i figli, su cui Clara riversa tutto il proprio desiderio di libertà. Adriana, la più grande, ha appena compiuto dodici anni ed è la testimone attentissima degli stati d’animo di Clara e delle tensioni crescenti tra i genitori. La ragazza rifiuta il suo nome, la sua identità, vuole convincere tutti di essere un maschio e questa ostinazione porta il già fragile equilibrio familiare a un punto di rottura. Mentre i bambini aspettano un segno che li guidi, che sia una voce dall’alto o una canzone in tv, intorno e dentro di loro tutto cambia.

Il commento del regista

L’Immensità è il film che inseguo da sempre: è sempre stato ‘il mio prossimo film’, ma ogni volta lasciava il posto a un’altra storia, come se non mi sentissi mai abbastanza pronto, maturo, sicuro. È un film sulla memoria che aveva bisogno di una distanza maggiore, di una consapevolezza diversa. Come tutti i miei lavori, in fondo è prima di tutto un film sulla famiglia: sull’innocenza dei figli, e sulla loro relazione con una madre che poteva prendere vita solo nell’incontro, artistico e umano, con Penélope Cruz, con la sua sensibilità e la sua straordinaria capacità di interazione con tre giovanissimi non attori che non avevano mai recitato prima. Luana, Patrizio e Maria Chiara sono rimasti bambini sempre, e come tali sempre intensamente e immensamente veri.

Paul Schrader e Joel Edgerton presentano Master Gardener, fuori concorso a Venezia 79

Paul Schrader e Joel Edgerton hanno presentato quest’oggi in anteprima fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2022 Master Gardener, “ultimo capitolo” della trilogia di film del regista, composta da First Reformed e The Card Counter.

È proprio con il chiaro parallelismao tra Master Gardener e i precedenti lavori di Schrader che Joel Edgerton ha introdotto il suo personaggio, dichiarando di percepirlo come un continuum dei protagonisti di First Reformed e The Card Counter: “Li unisce la stessa energia. Sono sicuramente stato ispirato dai suoi precedenti due film nella costruzione del mio personaggio. E’ stato un percorso totalmente diverso da ciò a cui sono abituato, ma mi sono voluto mettere nelle mani di Paul per poter esplorare me stesso da un punto di vista mentale più che fisico“.

L’attore ha anche raccontato come pensa si sia evoluta la riflessione sulla religione elaborata da Schrader nei tre film: “Master Gardener è un film che si basa meno sul concetto di religione e più su quello di etica: cosa la nostra memoria incapsula del passato e come ci rapportiamo a ciò che siamo stati. Quando si stringe un legame importante con un’altra persona – in questo caso una donna – si deve essere capaci di poter rivelare ogni parte di se. Dobbiamo sempre fare i conti con una parte del nostro passato, non possiamo lasciarci tutto alle spalle“.

Paul Schrader, che ha ricevuto quest’oggi 3 settembre 2022 il Leone d’Oro alla carriera, ha ricordato con emozione il momento in cui ha capito che avrebbe voluto dedicare la sua vita al cinema: “Devo tutto a Pickpocket (1959) di Robert Bresson: la mattina del marzo 1979 in cui lo vidi mi ha cambiato la vita. Non avevo interesse nel diventare un regista, ero un teologo ritirato, che si era lasciato alle spalle la chiesa. Dopo cinque minuti di visione, ho però realizzato così tante cose. Ho realizzato che si può raccontare tutto al cinema, anche i fatti più triviali. E’ lo stile che li unifica“.

Schrader ha deciso di rendere il personaggio di Edgerton un giardiniere, un uomo con un passato pesante alle spalle, perché riteneva che la professione fosse una “ricca metafora del bene e del male. “Da un lato, un suprematista bianco può dire: ‘Noi siamo i giardinieri, togliamo le erbacce’. Dall’altro lato, un umanista può ribattere: ‘Siamo giardinieri, noi piantiamo i semi e lasciamo germogliare le cose’. Entrambi gli esempi si servono della metafora del giardinaggio: una in senso positivo, l’altra in senso negativo”.

Joel Edgerton
Foto di Luigi De Pompeis © Cinefilos.it

Non avrei mai voluto concludere la mia carriera senza un film con cui dire ‘ti voglio bene’. Questa è una storia particolare, che farà probabilmente inc****re una porzione di afroamericani, che non accettano il ritratto di dinamiche del genere neanche del mondo dell’analogia e dell’immaginazione. Questo film è tutto un grandissimo “e se”. I personaggi non fanno per forza scelte plausibili. Un padre e una figlia si ritrovano, ma vanno anche a letto insieme. Il protagonista è conteso tra due idee di femminile completamente diverse tra di loro. Il corpo di Joel mi è servito come metafora in questo film. Siamo così abituati a vedere così utilizzato come metafora il corpo femminile, ma preferisce il corpo maschile. Joel ha il fisico da uomo degli anni ‘80“.

Master Gardener racconta la storia di Narvel Roth, il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. Si dedica tanto alla cura dei giardini di questa bellissima e storica tenuta, quanto all’assecondare la sua datrice di lavora, la ricca signora Norma Haverhill. Quando la signora Haverhill gli chiede di assumere come nuova apprendista la sua bisnipote Maya, ribelle e problematica, il caos si insinua con prorompenza nella spartana esistenza di Narvel. Nel cast, Joel Edgerton (Narvel Roth), Sigourney Weaver (Mrs. Haverhill), Quintessa Swindell (Maya), Eduardo Losan (Xavier).

Venezia 79: le foto di Joel Edgerton, Sigourney Weaver e Paul Schrader

Si è tenuta questa sera l’anteprima fuori concorso a Venezia 79 di Master Gardener, il nuovo film di Paul Schrader. Al grande regista newyorkese è stato attribuito a Paul Schrader, regista (Il collezionista di carteFirst ReformedIl bacio della panteraAmerican Gigolo) e sceneggiatore (Toro scatenatoTaxi DriverComplesso di colpaYakuza) statunitense, il Leone d’Oro alla carriera della 79. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

La decisione è stata presa dal Cda della Biennale di Venezia, che ha fatto propria la proposta del Direttore della Mostra Alberto Barbera. Paul Schrader sul red carpet è stato accompagnato dai suoi protagonisti,  Joel Edgerton e Sigourney Weaver.  Di seguito tutte le foto:

Fratello, dove sei?: tutte le curiosità sul film dei fratelli Coen

Sin dal loro esordio, avvenuto nel 1984 con Blood Simple, i fratelli Joel ed Ethan Coen si sono affermati con una serie di opere cinematografiche che coniugano genere e autorialità, presentando spesso e volentieri situazioni e personaggi grotteschi, a cui ogni etichetta o possibile definizione sembra stare stretta. Dopo aver realizzato negli anni Novanta celebri titoli come Barton Fink, Fargo e Il grande Lebowski, sono entrati nel nuovo millennio con Fratello, dove sei?, dove come al solito si mescolano elementi diversi, dalla commedia al drammatico, dall’avventura all’epica. Uscito in sala nel 2000, è ancora oggi uno dei loro film più amati.

L’idea per Fratello, dove sei? era tra le mani dei Coen già verso la metà degli anni Novanta. Entrambi sapevano di voler realizzare una satira moderna liberamente basata sul poema omerico l’Odissea, pur non avendolo mai letto. I due registi si ispirarono infatti solo agli eventi divenuti più noti attraverso la cultura popolare per dar vita ad un racconto satirico nei confronti della politica e delle campagne elettorali negli Stati Uniti. Lo stesso titolo del film è un riferimento alla pellicola del 1941 I dimenticati, in cui un regista aspira a girare un film intitolato Fratello, dove sei? in cui dar vita ad un commento storico sulla condizione moderna dell’essere umano.

Il film venne inizialmente considerato un’opera minore dei Coen, ma negli anni ha poi acquistato il valore che gli spetta, forte anche di diversi riconoscimenti tra cui una nomination agli Oscar come miglior sceneggiatura non originale. Per gli appassionati dei Coen, è un film imprescindibile. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e alla colonna sonora. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo.

Fratello, dove sei?: la trama del film

La storia si svolge nel Mississippi all’inizio degli anni Trenta, nel pieno della Grande depressione. Ulysses Everett McGill, Delmar O’Donnell e Pete Hogwallop sono tre galeotti riusciti miracolosamente ad evadere dai lavori forzati. Sotto la guida di Ulyssess, l’unico dei tre con un po’ di buon senso e capacità oratorie, i fuggiaschi si mettono alla ricerca del tesoro da un milione di dollari nascosto prima di essere arrestati. Tale somma è stata sepolta nei pressi di un fiume dove ora sta per essere costruita una diga e ciò spinge i tre ex galeotti a doversi sbrigare per arrivare lì prima che il denaro sia irrecuperabile. Da quel momento, prima di arrivare a ciò che cercano, i tre vivranno una sequenza di imprevedibili incontri e rocambolesce avventure, fino a trovare molto più di quel che cercavano.

Fratello, dove sei?: il cast del film

Per il ruolo di Ulysses Everett i due registi avevano da subito pensato all’attore George Clooney, con il quale desideravano lavorare da tempo. Lo stesso Clooney non vedeva l’ora di recitare in un loro film, accettando la parte senza neanche voler prima leggere la sceneggiatura. L’attore decise poi di far leggere quessta ad un suo zio del Kentucky, sperando di comprendere meglio il personaggio attraverso la lettura di un uomo di campagna. Poiché lo zio è un devoto Battista, egli omise tutte le parolacce. Arrivato sul set, Clooney si trovò così a scoprire un lato inaspettato del personaggio. Egli si esercitò poi anche nel canto per settimane, ma alla fine si decise di farlo doppiare per le scene dove il suo personaggio canta.

Nel ruolo del lestofante Pete Hogwallop vi è invece l’attore John Turturro, qui al suo quarto film insieme ai Coen dopo Crocevia della morte, Barton Fink e Il grande Lebowski. Tim Blake Nelson, da qui in poi divenuto anch’egli un attore ricorrente nel cinema dei Coen, era il vicino di casa di Joel e quando ricevette la sceneggiatura pensò che il regista volesse solo qualche parare. Ritrovatosi invece ad interpretare il ruolo di Delmar O’Donnell, egli praticò un accento del sud recandovisi in vacanza e parlando con gente del posto. Nel film compaiono poi anche John Goodman nel ruolo di Daniel Teague, ladro con un occhio solo, e Holly Hunter nei panni di Penny Wharvey-McGill, moglie di Ulysses.

Fratello, dove sei cast

Fratello, dove sei?: la colonna sonora del film

La colonna sonora del film è diventata negli anni estremamente popolare, superando persino il successo del film. All’inizio del 2001, questa aveva venduto cinque milioni di copie, ha generato un film documentario, tre album successivi (“O Sister” e “O Sister 2“), due tournée e ha vinto i Country Music Awards per Album of the Year e Singolo dell’anno (per “Man of Constant Sorrow“). Ha anche vinto cinque Grammy, tra cui Album of the Year, e ha raggiunto il primo posto nelle classifiche degli album di Billboard la settimana del 15 marzo 2002, 63 settimane dopo la sua uscita e oltre un anno dopo l’uscita del film.

Questa è composta da brani tradizionali statunitensi, ma include anche musica folk, religiosa e gospel. Tutte le canzoni scelte, infatti, riflettono gli stili musicali più popolari dell’epoca in cui è ambientato il film. All’interno di questo, inoltre, i protagonisti formano un fittizio gruppo musicale chiamato Soggy Bottom Boys. Le canzoni da loro eseguite sono però cantate in playback dagli attori, tranne per il caso di In the Jailhouse Now, che venne realmente eseguita da Tim Blake Nelson con la sua voce. Oltre a questi titoli, nella colonna sonora del film si ritrovano anche popolari brani come You Are My Sunshine, Down the River to Pray e Keep On the Sunny Side.

Fratello, dove sei?: il trailer e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire del film grazie alla sua presenza su alcune delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Fratello, dove sei? è infatti disponibile nei cataloghi di Rakuten TV, Google Play, Apple iTunes e Netflix. Per vederlo, una volta scelta la piattaforma di riferimento, basterà noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale. Si avrà così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che in caso di noleggio si avrà soltanto un dato limite temporale entro cui guardare il titolo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di sabato 3 settembre alle ore 21:10 sul canale TwentySeven.

Fonte: IMDb

 

Athena, recensione del film di Romain Gavras

Nel concorso di Venezia 79 fa capolino Athena, senza grandi cori di star, un film Netflix del francese Romain Gavras, firmato alla sceneggiatura anche da Ladj Ly di Les Miserables, che nella maniera più inaspettata rielabora la tragedia greca, contaminandola con il cinema politico e un respiro epico. 

Athena, la trama

Difficile dire chi sia il protagonista della storia, anche perché la stessa ci viene svelata pian piano, mentre le immagini si susseguono e la meraviglia si srotola sotto gli occhi dello spettatore. Ci troviamo nel bel mezzo di uno scontro tra rivoltosi e polizia, il casus belli, lo si rivela più avanti, è l’omicidio di un ragazzino di 13 anni da parte di alcuni agenti. La rivolta è guidata da Karim, fratello della vittima, ma non è il solo invischiato personalmente nella vicenda. Abdel e Moktar, altri fratelli più grandi, si posizionano in zone opposte dello spettro della vicenda, in cui il primo, poliziotto, cerca di arginare i danni e tutelare i deboli, e il secondo tenta invece di salvaguardare il suo traffico di stupefacenti che conduce in accordo con degli agenti corrotti. Le tre linee di pensiero, i tre sentieri, la vendetta, la giustizia e l’opportunismo, si troveranno a incrociarsi per le strade del quartiere che dà il titolo al film: Athena. Il riferimento è alla città? Alla dea? Forse solo un lontano eco di una tragedia attesa.

Lo scontro fratricida e la tragedia greca

Romain Gavras usa il piano sequenza con grande precisione e destrezza per raccontare il qui e ora della vicenda: l’immediatezza, la velocità, il rapido precipitare degli eventi. L’impressione di assistere ad un happening, che diventa carica da stadio, e si trasforma in assedio medievale, con una solennità e un tono deflagrante e coinvolgente. È forte l’apporto di Ly e l’eco di Les Miserables, ma il film assume una sua indipendenza e un aspetto di novità nel momento in cui fa della tragedia greca il suo riferimento più forte.

Per quanto le persone possano fare scelte di vita radicalmente diverse tra loro, il legame di sangue le riconduce a una inevitabile resa dei conti, un confronto che non può che essere tragico, dentro al contesto violento e dannato in cui è calato. Così le sorti dei tre fratelli, uniti e divisi dalla morte del più piccolo di loro, diventano un dramma umano inestricabile e irresistibile, proprio grazie all’occhio di Gavras che non si stacca mai dai protagonisti.

Trasfigurazione dell’odio

La forma di Athena è tanto splendida quanto duro e difficile è il suo contenuto. Il film non vuole essere però un inno alla violenza e all’odio che racconta, piuttosto lo trasfigura dandogli eticità con i sontuosi movimenti della camera e la colonna sonora poderosa e invadente.

La visione del film, che arriverà su Netflix, meriterebbe uno schermo grande, buio intorno e grande attenzione, ma è la sorte di sempre più prodotti che, sebbene vengano realizzati proprio grazie al contributo delle piattaforme, rischiano di essere goduti a metà perché non usufruiti nel loro luogo di appartenenza: la sala.

Margini, recensione del film di Niccolò Falsetti

Quando sei giovane e pieno di energia, voglia di fare e di vivere, ma sei a “due ore da tutto” e vivi ai margini, l’unica strada possibile per la sopravvivenza è l’ingegno, e così Niccolò Falsetti trova la sua strada verso l’opera prima, selezionata alla 37° Settimana della Critica nell’ambito di Venezia 79. 

Margini, la storia

Si intitola proprio Margini il film che Falsetti ha diretto e scritto insieme a Francesco Turbanti e Tommaso Renzoni e che racconta la storia di tre amici malati di punk: Edoardo, Iacopo e Michele. Stanchi di esibirsi solo alle feste dell’Unità e alle sagre, hanno la possibilità di organizzare proprio a Grosseto, un “posto di mezzo”, un vero e proprio concerto punk, con una band famosa, i Defense, per i quali apriranno proprio loro tre. Scontrandosi con ogni tipo di ostacolo e con tutte le difficoltà possibili, i tre amici scopriranno i limiti della loro amicizia e di ciò che è possibile raggiungere quando i sogni sono più forti delle avversità.

Con un tono genuino da commedia e un’energia contagiosa, Falsetti mette in scena un’avventura scapestrata, piena di imprevisti, emozioni e inconvenienti. Non si può non voler bene a questi tre ragazzi scapestrati, che mettono in secondo piano qualsiasi cosa, anche affetti e famiglia, pur di perseguire il loro obbiettivo. Si scontrano contro la burocrazia, la pubblica amministrazione, la mancanza di immaginazione, la poca ispirazione, il gretto realismo e l’ostilità verso il nuovo, ma affrontano tutto con grande fatica ed energia, proprio perché mossi da una voglia di rivalsa che alla fine li lascerà ammaccati eppure con ancora l’energia di cantare e di sognare. 

Il punk e l’amicizia “a due ore da tutto”

Francesco Turbanti (lo stesso del team di sceneggiatori), Emanuele Linfatti e Matteo Creatini sono i protagonisti, che riescono da subito a suscitare simpatia, sia per la loro genuinità nell’interpretazione, sia perché la scrittura è limpida e informale, diretta e realistica. 

In questo affresco così vivace spiccano due figure femminili di grande spessore: Valentina Carnelutti, che interpreta la madre di Edoardo e Silvia D’Amico che è invece la compagna di Michele. Nella loro profonda diversità, di età e condizione, le due donne rappresentano sono delle colonne solide che sostengono i protagonisti, con una grazia e una pazienza che risultano, anche in questo caso, estremamente realistiche, anche quando vengono meno o quando rimangono ferme e granitiche al loro fianco.

Ambientato in un passato recente, il 2008, che sembra riportarci indietro di molto più tempo, Margini racconta il sogno, l’amicizia, il punk come stile di vita, la voglia di costruire anche dove la terra non con sente di gettare fondamenta. Racconta ragazzi fuori di testa, con un cuore grande e idee un po’ folli, per i quali non si può fare a meno di fare il tifo.

Abel Ferrara parla di Padre Pio, il film con Shia Labeouf presentato a Venezia 79

Abel Ferrara ha presentato in anteprima il suo nuovo film Padre Pio alle Giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia 2022. In conferenza stampa, ci ha raccontato cosa lo ha portato a voler riprendere nuovamente in mano la storia del personaggio, già affrontata nel documentario del 2016 Searching For Padre Pio, e a scegliere Shia LaBeouf come protagonista.

Cosa affascina così tanto Abel Ferrara di Padre Pio?  “Perché l’ho conosciuto la prima volta come un Santo e quindi mi è venuto spontaneo chiedermi, cosa rende una persona un santo. Io stavo lavorando a Napoli, e a Napoli è: o Marandona o Padre Pio. Quindi, mi sono chiesto chi fosse Padre Pio e quello che ho capito è che è prima di tutto una persona di compassione e servizio. Un uomo che non si è mai mosso dalla Puglia, che ha vissuto come in una gabbia, indossando abiti da monaco pesanti con temperature altissime e che si impegnava tutto il giorno ad ascoltare le confessioni degli altri: mio figlio è malato, i pomodori non crescono, ho fame. E lui trovava una soluzione a tutto. Questo l’ha reso universale senza mai muoversi nel mondo.”

É arrivato in Puglia senza possedere niente, su un asino. Ha costruito un ospitale da 35.000 euro in un posto in cui non c’era neanche l’acqua. Qualcosa di estremamente potente in un posto in cui non c’era nulla. Ha realizzato quello che voleva realizzare”. Come Pasolini, era anche un grande scrittore. Scriveva come Baudlaire. Ci ha aperto il suo cuore con la scrittura. Il film è basato quasi interamente sui suoi scritti. E su un evento che si, é misconosciuto, ma è successo c***o. Perché un film su di lui? Per questo. Le sue sono parole estremamente evocative. Non ci siamo inventati nulla, è tutto vero quello che trovate nel film“.

La domanda sulla tanto chiacchierata conversione di Shia LaBeouf è sorta spontanea: questa svolta personale ha coinciso con la produzione di Ferrara? “La sua conversione è qualcosa avvenuto prima di quando ci siamo conosciuti, qualcosa che faceva già parte in quel momento di una situazione di crisi che stava vivendo, come le stigmate e il massacro, che sono due eventi che accadono in contemporaneo. Prima non ci conoscevamo proprio, ci siamo trovati su zoom e questo è un miracolo in sé”.

Uno dei punti di forza di Padre Pio è sicuramente la colonna sonora: Abel Ferrara ha parlato approfonditamente del suo rapporto con il compositore Joe Delia, che va avanti da tantissimi anni:  “Come negli altri film con lui l’obiettivo principale era quello di realizzare qualcosa che potesse essere musicalmente tradizionale, come Nino Rota Morricone Cage, ma volevamo anche ottenere qualcosa di diverso e organico.” “Negli ultimi film avevamo 3 musicisti. Hanno realizzato le musiche ancora prima della sala montaggio, poi ci sono stati altri due pezzi importanti: il canto dei monaci, pezzi che hanno 500 anni. Shia l’ha imparato, gli altri monaci sono tutti monaci veri. Questi tre musicisti hanno preso i testi dei monaci e li hanno esplorati“.

La trama di Padre Pio di Abel Ferrara è ambientata durante la fine della Prima Guerra Mondiale, quando i giovani soldati italiani tornano a San Giovanni Rotondo, una terra povera, violenta, sulla quale la chiesa e i ricchi proprietari terrieri esercitaano un dominio incontrastato. Le famiglie sono disperate, gli uomini, seppur vittoriosi, appaiono distrutti.

Venezia 79, foto dal red carpet per la premiere di Monica di Andrea Pallaoro

Sul red carpet della 79a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia arriva il regista italiano Andrea Pallaoro per presentare in concorso Monica, il suo nuovo film. Insieme al regista sul tappeto rosso hanno sfilato anche gli interpreti Trace Lysette, Patricia Clarkson, Joshua Close.

Il film racconta di Monica torna a casa per la prima volta dopo una lunga assenza. Ritrovando sua madre e il resto della sua famiglia, da cui si era allontanata da adolescente, intraprende un percorso nel suo dolore e nelle sue paure, nei suoi bisogni e nei suoi desideri fino a scoprire dentro di sé la forza per guarire le ferite del proprio passato. Il ritratto intimo di una donna che esplora i temi universali dell’abbandono e dell’accettazione, del riscatto e del perdono.

 

Bardo – La cronaca falsa di alcune verità, recensione del film di Alejandro G. Inarritu

Dopo l’incursione naturalistica di The Revenant – Redivivo, Alejandro G. Inarritu, il regista che ha partecipato alla conquista messicana di Hollywood, presenta a Venezia 79 Bardo – La cronaca falsa di alcune verità, un film confessione, un racconto di se stesso, un punto su quello che probabilmente è la sua vita, personale e creativa, alla vigilia dei 60 anni.

Bardo – La cronaca falsa di alcune verità, la storia di Silverio

La storia ruota intorno a Silverio, un giornalista messicano che ha lasciato il suo Paese per vivere negli Stati Uniti. Mentre si appresta a ricevere un prestigioso riconoscimento per il suo lavoro, l’uomo si trova a mettere in discussione se stesso, le sue scelte, la sua vita, lo sradicamento a cui ha costretto famiglia e figli, ma anche la politica del suo Messico, un luogo tanto amato solo quando lo si guarda da lontano, dal punto di vista di un “emigrato di lusso”, nell’agio della propria vita borghese negli Stati Uniti.

Un resoconto alla vigilia del 60 anni

Inarritu confeziona un film onirico, un flusso di coscienza che ricorda per la sua struttura così ondivaga l’8 1/2 di Fellini (suo nume tutelare), ma che è anche diverso da qualsiasi cosa sia mai stata fatta. Materico anche nella rappresentazione del sogno, il regista premio Oscar dà corpo e sostanza alle rievocazioni storiche, ai pensieri più astratti, agli incubi e alle paure, ma anche ai suoi traumi personali che diventano i traumi di Silverio stesso. Nomade nella sua stessa coscienza, il protagonista non sembra trovare pace alcuna se non nella resa alla vita, con un sorriso amaro ma anche compiaciuto verso chi lo ha amato in vita. 

Il Bardo è una parola buddista che indica un luogo che corrisponde al Limbo cattolico, un lungo senza speranza dunque, dove i sogni nascono e muoiono e in cui evidentemente il regista si sente impantanato. Seppure non in forma letterale, il film è una autobiografia immaginaria, una “auto-fiction” nelle parole del regista stesso, che torna a ragionare sull’ego e sullo slancio creativo, come accadeva in Birdman, ma che questa volta si arricchisce di un senso di appartenenza alla terra e al Paese che fino a questo momento non era mai trapelato dalle sue opere, nemmeno dalle prime elogiate prove di regia come Amores Perros. Inarritu torna fisicamente in Messico, ma lo fa anche con la mente e con il cuore, confezionando un film denso, lungo, che non poteva lasciare nulla sul pavimento del montaggio perché ogni evoluzione compone il ritratto di sé che lui voleva esporre al pubblico. 

Alejandro G. Iñárritu bardo netflixCinema vigoroso e immaginifico

Da un punto di vista stilistico, Bardo è un esempio di cinema vigoroso, pieno di idee visive, un cinema che, seppure ha beneficiato della produzione di Netflix, si sente costretto nei bordi di uno schermo piccolo, perché ogni immagine è perfetta e gloriosa, e agogna la sala, la grandezza, l’esposizione e forse anche la messa in discussione, proprio come fa l’ego di Inarritu spogliandosi di se stesso eppure rivendicando con la bellezza delle immagini la sua gloria. 

Daniel Giménez Cacho è lo splendido protagonista di Bardo. Non a caso vagamente somigliante al regista, l’attore mette in scena un personaggio vittima degli eventi, testimone delle sue fortune e delle sue disavventure, sempre in balia del giudizio altrui eppure perso in se stesso, nell’inseguimento di una fama che si rivela effimera e che lo distrae da quella famiglia che lo circonda con affetto e il giusto grado di sfida. Un’interpretazione magistrale che regala una vera anima a tutte le immagini vivide e maestose che confezione il regista.

Bardo è una pagina di diario, un bilancio, una confessione, forse il film più complesso e personale di Alejandro G. Inarritu, un racconto che merita attenzione, pazienza e uno schermo più grande possibile.

Alejandro G. Inarritu presenta Bardo, la sua “auto-fiction”

Tutti i vincitori del Premio Kinéo

Il Premio Kinéo, ideato e diretto da Rosetta Sannelli (presidente dell’Associazione Culturale Kinéo), che quest’anno compie vent’anni alla 79. Mostra del Cinema di Venezia, annuncia tutti i premi di questo anniversario.

Tra i premiati, votati dal pubblico e da una giuria di eccellenza presieduta da Jean Gili(regista, critico, storico del cinema e professore emerito dell’Università di Parigi 1 Pantheon-Sorbonne): Corro da te di Riccardo Milani per il Miglior Film; Una femmina di Francesco Costabile per la Miglior Opera Prima; Come un gatto in tangenziale. Ritorno a coccia di morto di Riccardo Milani per la Miglior Commedia; Nostalgia di Mario Martone per il Premio Pubblico&Critica; Benelli su Benelli di Marta Miniucchi per la Miglior docufiction; Noi di Luca Ribuoli per la Miglior Serie Tv/Piattaforma; Nicola Guaglianone, poi, si aggiudica il premio come Miglior Sceneggiatura per Freaks Out.

Tra gli attori, invece, ad aggiudicarsi il premio come Miglior attrice protagonista è Barbara Ronchi per la sua interpretazione in Settembre, mentre a Michele Riondino viene assegnato il premio come Miglior attore protagonista per il film I nostri fantasmi. E ancora: Vinicio Marchioni è Miglior attore non protagonista per Supereroi; Aurora Ruffino è Miglior attrice Serie Tv/Piattaforma per Noi; Eduardo Scarpetta è il Miglior attore SerieTv/Piattaforma per Le fate ignoranti; Ludivine Sagnier è Miglior attrice protagonista per la serie Netflix Lupin; Sofia Essaïdi è la Miglior attrice non protagonista per Nostalgia di Mario Martone.

Il premio Giovani Rivelazioni se lo aggiudicano: Chiara Vinci, Jacopo Olmo Antinori, Alessandro Piavani e Claudia Marchiori.

Il Premio “Personaggio dell’anno per il Cinema”, invece, è assegnato a Piera Detassis, mentre il Premio per il miglior produttore/distributore nazionale o internazionale, intestato da quest’anno a Martha De Laurentiis, è assegnato a Massimiliano Orfei, A.D. di Vision Distribution.

E ancora il Premio ITTV/Kinéo è per Daniela Rambaldi Presidente della Fondazione Carlo Rambaldi; Beatrice Venezi riceve il premio Eccellenza nell’arte della Musica e Lorenzo Quinn il riconoscimento nel campo delle arti visive per i suoi Segni contemporanei nell’architetture di Venezia.

Il Movie for Humanity Award – premio che da anni Kinéo assegna a chi attravrerso il cinema sostiene la causa dei diritti umani in ogni parte del mondo,  in collaborazione con il progetto Global Campus of Human Rights – viene assegnato a Evgeny Mikhailovich Afineevsky per il documentario Freedom on Fire – Ukraine’s Fight for Freedom. Il film, infatti, è una raccolta di testimonianze di crudeltà e gravissime violazioni dei diritti umani nel teatro della guerra, che verrà presentato fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia.

Lo storico evento collaterale della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, è sostenuto dalla DGCA del MIC e la cerimonia si terrà oggi sabato 3 settembre 2022, nella splendida cornice di Cà Sagredo, ormai divenuta, grazie alla sensibilità per l’arte della direttrice, Lorenza Lain, la casa del Premio Kinéo.

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Come da tradizione, il Premio collabora anche quest’anno con il Sindacato Critici cinematografici (SNCCI), con lo SGDs in Action Film Festival, con la Veneto Film Commission, con l’ITTV Festival di Los Angeles creato da Valentina Martelli e Cristina Scognamillo, con la stilista Eleonora Lastrucci per gli outfit più belli del Red Carpet e con ANEC nel segno del sostegno alle sale cinematografiche, luogo dove si può godere l’esperienza completa della magia del cinema.

Uno degli obiettivi è puntare sulle nuove generazioni. Da molti anni, infatti, il Kinéo ha avviato insieme al Centro Sperimentale di Cinematografia un progetto per valorizzare i giovani artisti emergenti selezionati dalle varie scuole di cinema con un premio dedicato, assegnato ogni anno ai più meritevoli.

Prosegue il tradizionale sostegno della Veneto Film Commission che ospita l’attesissima Conferenza Stampa. “Sono estremamente felice di accogliere il Premio Kinéo nello spazio Regione del Veneto – Veneto Film Commission, rinnovando così una collaborazione che dà lustro alla nostra attività. Il Premio Kinéo è una straordinaria vetrina sul cinema contemporaneo e un’occasione di incontro di altissimo livello” afferma il direttore della Veneto Film Commission, Jacopo Chessa.

Continua, infine, l’adesione al progetto Kinéo di S.Pellegrino, costante nella sua presenza ormai ventennale, e del Consorzio Tutela del Prosecco Doc. “Per il terzo anno consecutivo come Consorzio del Prosecco DOC supportiamo il prestigioso Premio cinematografico Kinéo, – dichiara Stefano Zanette, presidente del Consorzio di Tutela del Prosecco DOC – e siamo sinceramente lieti di poterlo affiancare in un anno particolarmente importante: quello del suo 20° anniversario, celebrato durante questa 79. edizione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia”.

Venezia 79: oggi in concorso Argentina, 1985

Sarà presentato oggi in concorso alla alla 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia Argentina, 1985, il film di produzione Argentina è diretto da Santiago Mitre ed è ispirato alla vera storia dei procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo, che nel 1985 osarono indagare e perseguire i responsabili della fase più sanguinosa della dittatura militare argentina.

La trama

Argentina, 1985 è ispirato alla vera storia dei procuratori Julio Strassera e Luis Moreno Ocampo, che nel 1985 osarono indagare e perseguire i responsabili della fase più sanguinosa della dittatura militare argentina. Senza lasciarsi intimidire dall’ancora notevole influenza che l’esercito aveva sulla loro fragile, nuova democrazia, Strassera e Moreno Ocampo formarono un giovane team legale di improbabili eroi per ingaggiare la loro battaglia di Davide contro Golia. Costantemente minacciati, insieme alle loro famiglie, lottarono contro il tempo per dare giustizia alle vittime della giunta militare.

Il commento del regista

Ricordo ancora il giorno in cui Strassera formulò l’atto di accusa: il boato dell’aula del tribunale, l’emozione dei miei genitori, le strade finalmente in grado di festeggiare qualcosa che non fosse una partita di calcio, l’idea di giustizia come un atto di guarigione. Il processo del 1985 permise alla giustizia argentina di riconoscere e rivendicare un diritto a lungo negato. Nel corso delle mie ricerche mi sono imbattuto in aspetti sconosciuti della vicenda: il retroterra dei procuratori, il giovane team senza esperienza, la regione ancora sotto la dittatura. Questa storia mi ha toccato profondamente, accendendo in me il desiderio di fare un film sulla giustizia e di approfondire le ricerche cinematografiche e politiche come non avevo mai fatto nei miei film precedenti, questa volta sulla base di fatti realmente accaduti.

Venezia 79: fuori concorso arriva Paul Schrader con Master Gardener

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Altro giorno altro grande regista alla 79esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia Paul Schrader presenta fuori concorso Master Gardener. Protagonisti del film  Joel EdgertonSigourney Weaver, Quintessa Swindell.

La trama del film

Narvel Roth è il meticoloso orticoltore di Gracewood Gardens. La devozione per i terreni della bella e storica dimora è pari al tentativo di compiacere la sua datrice di lavoro, la ricca vedova Mrs. Norma Haverhill. Quando la donna gli chiede di assumere la sua capricciosa e inquieta pronipote Maya come apprendista, il caos entra nella spartana esistenza di Narvel.

Commento del regista

Sono stato fortunato, perché ho vissuto in una bolla di libertà creativa, ricchezza, tempo libero, pace e buona salute. Il mio ultimo film si concentra su Narvel Roth, un uomo solo seduto in una stanza, con una maschera in volto – che è il suo lavoro di orticoltore – in attesa che accada qualcosa. E poi qualcosa accade.

Venezia 79: foto di Timothée Chalamet e il cast di Bones and All

A Venezia 79 è stata la gran serata di Bones and All di Luca Guadagnino che è stato presentato in concorso alla 79esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Il regista italiano candidato all’Oscar sarà accompagnato dai suoi protagonisti Timothée Chalamet, Taylor Russell, Mark Rylance, André Holland, e Chloe Sevigny. Ecco tutte le foto!

Bones and All è prodotto da Frenesy Film Company (Luca Guadagnino), Per Capita Productions (Theresa Park), The Apartment Pictures (Lorenzo Mieli), MeMo Films (Francesco Melzi d’Eril, Gabriele Moratti), 3MARYS (Giovanni Corrado, Raffaella Viscardi), Dave Kajganich, Marco Morabito, Peter Spears.

La trama di Bones and All

Il primo amore sboccia tra Maren, una ragazza che sta imparando a sopravvivere ai margini della società, e Lee, un vagabondo dai sentimenti profondi. I due si incontrano e intraprendono un’odissea lunga mille miglia che li porterà attraverso le strade secondarie, i passaggi segreti e le botole dell’America di Ronald Reagan. A dispetto degli sforzi profusi, tutte le strade riconducono al loro terrificante passato e a un’ultima battaglia che determinerà se il loro amore potrà sopravvivere alla loro alterità.

Il commento del regista

C’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società che mi attira e commuove. Amo questi personaggi. Il cuore del film batte teneramente e affettuosamente nei loro confronti. Mi interessano i loro viaggi emotivi. Voglio vedere dove si aprono le possibilità per loro, intrappolati come sono nelle impossibilità cheC’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società che mi attira e commuove. Amo questi personaggi. Il cuore del film batte teneramente e affettuosamente nei loro confronti. Mi interessano i loro viaggi emotivi. Voglio vedere dove si aprono le possibilità per loro, intrappolati come sono nelle impossibilità che devono fronteggiare. Vedo questo film come una meditazione su chi siamo e come possiamo superare quello che sentiamo, soprattutto se si tratta di qualcosa che non riusciamo a controllare. Infine, e soprattutto, quando riusciremo a ritrovarci nello sguardo dell’altro?devono fronteggiare. Vedo questo film come una meditazione su chi siamo e come possiamo superare quello che sentiamo, soprattutto se si tratta di qualcosa che non riusciamo a controllare. Infine, e soprattutto, quando riusciremo a ritrovarci nello sguardo dell’altro?

 

Baarìa: la trama e il cast del film di Giuseppe Tornatore

Epico ritratto della Sicilia e dell’Italia nel corso di trenta fondamentali anni della loro storia, Baarìa è tutt’oggi uno dei più ambiziosi progetti cinematografici italiani degli ultimi tempi, nonché uno dei più importanti nella filmografia del premio Oscar Giuseppe Tornatore. Il regista portò il film al cinema nel 2009 dopo averlo presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove raccolse ampi consensi ma anche aspre critiche.

Il film, come detto, copre un arco temporale che va dagli anni Trenta fino agli Ottanta, e contiene al suo interno eventi della storia del Paese come il regime fascista, l’entrata in guerra, lo sbarco degli alleati in Sicilia, il referendum per la Repubblica, l’arrivo della televisione, gli scontri politici, e le elezioni politiche del 1972. Tutto ciò si ritrova condensato in quasi tre ore di film, per una pellicola rivelatasi un grande sforzo produttivo. Con un budget stellare di circa 28 milioni di dollari, il film riuscì poi ad incassarne “solo” 10 milioni.

Baarìa venne però apprezzato anche all’estero, ottenendo la candidatura come miglior film straniero ai Golden Globe. Mancò invece di ottenere la medesima nomination ai premi Oscar del 2010. La pellicola si afferma però ugualmente come una delle più premiate in Italia, ottenendo 14 nomination ai David di Donatello, dove vincerà per la miglior colonna sonora del maestro Ennio Morricone. Il film ottenne anche un Nastro d’argento speciale per via del suo “caso” artistico e produttivo, considerato pressoché un unicum nel panorama nazionale.

Baarìa: la trama del film

La storia del film racconta la vita di una famiglia del comune di Bagheria attraverso tre generazioni, la cui vita si intreccia con gli eventi storici del Paese.
Il primo di cui si narra è Ciccio, costretto a lavorare fin da bambino come contadino e pastore. Il ragazzo cresce privo di un’istruzione, ma con una grande passione per i poemi cavallereschi. Cresciuto e sposatosi, Ciccio dà vita al figlio Peppino Torrenuova. Sin da bambino, questi si rivela essere un ribelle, e una volta compiuti i vent’anni dà sfogo alle proprie idee progressiste iscrivendosi al Partito Comunista.

Mentre persegue la propria carriera politica, il giovane conosce e si innamora di Mannina. La famiglia di lei, però, si rivela assolutamente contraria alla loro relazione per via delle idee politiche del ragazzo. Ma il loro amore non si lascia piegare dalle circostanze, e i due si dimostreranno disposti a tutto pur di poter stare insieme. Dalla loro unione, infine, nascerà Pietro. Come suo padre e suo nonno, anche egli porta avanti nuove battaglie, mentre intorno a sé vede il paese trasformarsi ulteriormente, e con esso anche il luogo in cui è nato e cresciuto.

https://www.youtube.com/watch?v=fwX_023uGoE

Baarìa: il cast del film

A rendere grande il film è anche il suo enorme cast, ricco di personaggi più o meno rilevanti all’interno della storia. Per raccontare della Sicilia in modo più autentico, inoltre, Tornatore ha deciso di affidarsi ad attori prevalentemente di origini siciliane, che potessero recitare in modo realistico il dialetto locale. Si parte con Francesco Scianna, protagonista nel ruolo di Peppino Torrenuova. Attorno a lui si ritrovano poi Margareth Madè nei panni di Mannina, Gaetano Aronica in quelli di Ciccio Torrenuova e Marco Iermanò nel ruolo di Pietro Torrenuova da ragazzo. Accanto a loro si ritrovano noti attori come Salvatore Ficarra e Valentino Picone, che interpretano rispettivamente Nino Torrenuova e Luigi Scalìa.

L’attrice Lina Sastri è Tana, mentre Raoul Bova è un giornalista romano. Nicole Grimaudo dà vita alla giovane Sabrina, che da adulta ha invece il volto di Ángela Molina. Vi è poi Aldo Baglio, nei panni di un affarista, Giorgio Faletti, in quelli del personaggio denominato Corteccia, e Laura Chiatti nel ruolo di una studentessa. Beppe Fiorello appare invece nel ruolo di un venditore di dollari, mentre Donatella Finocchiaro è una merciaia. Vi è poi Nino Frassica nel ruolo di Giacomo Bartolotta, e Gabriele Lavia nei panni del maestro delle commissioni d’esame. Infine, si possono ritrovare anche Luigi Lo Cascio, nel ruolo di un giovane affetto da sindrome di Down, Vincenzo Salemme in quello di un capo comico di spettacoli, Monica Bellucci come compagna di un muratore e Michele Placido nei panni di un esponente del Partito Comunista.

Questo ricchissimo ventaglio di nomi dà vita ad un film dalla forte coralità, in un susseguirsi di voci e volti particolarmente indimenticabile. Inoltre, gli stessi attori si sono poi trovati a doversi ridoppiare. A causa dell’uso stretto del dialetto siciliano, nella sua variante bagherese, il film risultava infatti grossomodo di difficile comprensione. Per evitare di dover inserire dei sottotitoli, il regista preferì chiedere agli attori di doppiarsi in un più comprensibile italiano con inflessione siciliana.

Baarìa: la colonna sonora, dove è stato girato e dove vederlo in streaming

La colonna sonora composta da Ennio Morricone, e premiata con il David di Donatello, è poi stata pubblicata come album a sé. In esso sono contenute le musiche del film, eseguite dall’orchestra Roma Sinfonietta. I brani Baarìa e Oltre sono invece stati eseguiti dalla Banda musicale dell’Arma dei Carabinieri. Ognuno dei pezzi contenuti nella colonna sonora risulta essere l’adeguato accompagnamento alla vicenda del film a cui si lega. In particolare, sono stati particolarmente apprezzati i brani Sinfonia per Baarìa, Il corpo e la terra, Racconto di una vita, Oltre e Il vento, il mare, i silenzi.

Baarìa, che dà il titolo al film, è il modo siciliano di riferirsi al comune di Bagheria, che si trova in provincia di Salerno. Qui si sono svolte le principali ambientazioni del film, poiché il regista desiderava rimanere il più fedele possibile ai veri luoghi narrati. Per diverse scene si è però reso necessario spostarsi in vari set in Tunisia. Parte del budget è infatti servita per ricostruire qui, in alcuni sobborghi vicino la capitale Tunisi, l’antica Bagheria, oggi non più esistente. Nonostante ciò, Tornatore è riuscito a non far notare la differenza, sfruttando al massimo le proprie location per dar vita alla città desiderata. Per gli appassionati del film, o per chi desidera vederlo per la prima volta, sarà possibile fruirne grazie alla sua presenza nel catalogo di alcune delle principali piattaforme streaming oggi disponibili. Baaria è infatti presente su Infinity, Tim Vision e Amazon Prime Video. In base alla piattaforma scelta, sarà possibile noleggiare il singolo film o sottoscrivere un abbonamento generale al catalogo. In questo modo sarà poi possibile fruire del titolo in tutta comodità e al meglio della qualità video. È bene notare che l’abbonamento generale non prevede limiti di tempo entro cui guardare il film, che sarà disponibile finché l’abbonamento sarà attivo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di venerdì 2 settembre alle ore 21:00 sul canale Cine34.

Fonte: IMDb

 

Luca Guadagnino parla di Bones and All, in concorso a Venezia 79

Sono passati cinque anni da quando il regista Luca Guadagnino ha incoronato Timothée Chalamet come uno degli attori più promettenti della sua generazione in Chiamami col tuo nome, e ora la coppia regista-attore è tornata in Italia per presentare un’altra storia dolorosamente romantica. Presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, Bones and All è ambientato nel Midwest americano degli anni ’80 dove due adolescenti cannibali, Maren (Taylor Russell) e Lee (Chalamet), stringono un forte legame in cui li unisce il gusto comune per la carne umana e per la solitudine paralizzante in un mondo che non potrà mai capirli o accettarli.

Per iniziare, Luca Guadagnino ha introdotto questa sua primissima incursione registica negli Stati Uniti. “Fin da ragazzino ho ragionato a lungo sull’immaginario del cinema americano da cui sono stato profondamente influenzato e formato. Credo di aver sempre rinviato il momento di fare un film negli Stati Uniti probabilmente perchè avevo bisogno di una prospettiva più matura. Bones and All è nato quasi casualmente, da uno di quegli imprevisti che rendono bella la mia amicizia con lo sceneggiatore Dave Kajganich, che a lavorato con me a A Bigger Splash e Suspiria. Aveva lavorato a questo copione, me lo ha fatto leggere ed ho voluto raccontare la storia di questi drifters che cercano il possibile nell’impossibile. Un lavoro di squadra, e con squadra intendo la famiglia rappresentata dalle persone con cui lavoro da anni. Il mio punto di luce, la mia speranza, è il mio lavoro, profondamente collettivo. Fare cinema è un privilegio“.

Il pregiudizio è stato il tema principale della conferenza stampa di Bones and All. La star Timothée Chalamet, di ritorno al Lido dopo la trionfale anteprima mondiale di Dune dello scorso anno, ha dato sfogo a una prospettiva personale oscura quando gli è stato chiesto cosa pensasse della condizione dei giovani di oggi e del continuo stress a cui sono sottoposti nel venire giudicati per le loro scelte, in particolare nell’era dei social media.

Essere giovani oggi significa essere fortemente giudicati“, ha dichiarato. “In Bones And All, è stato un sollievo interpretare personaggi che lottano con un dilemma interiore senza la possibilità di andare su Reddit o Twitter o Instagram o TikTok e capire dove si trovano. Senza giudicare, perché se riesci a trovare la tua tribù lì, allora tutto il potere è tuo. Ma penso che sia difficile essere vivi ora. Penso che il collasso della società sia nell’aria, che se ne senta proprio l’odore, e senza essere pretenzioso, spero che questo sia il motivo per cui questi film sono importanti, perché il ruolo dell’artista è quello di fare luce su ciò che sta accadendo“.

Sempre restando sul tema, la protagonista del film Taylor Russell ha affermato di aver pensato molto al fatto che suo fratello minore stia crescendo in questo mondo “e al giudizio di sé e degli altri e al fatto che le opinioni sembrano invadere sempre la tua quotidianità in modo così drastico e severo. È così spaventoso perché la speranza è che si possa trovare la propria bussola all’interno di tutto questo e questo sembra un compito difficilissimo ora“.

Il film è stato girato durante la pandemia e Chalamet ha anche affrontato il tema dell’isolamento che i personaggi provano nel film. “Non che siamo esseri narcisisti affamati di attenzioni, ma comunque hai bisogno di quel contatto per capire dove ti trovi e ho provato una disillusione simile a quella che penso provasse Lee nella sceneggiatura in quel momento“.

Chalamet ha poi dichiarato di aver accettato il ruolo di Lee perché “morivo dalla voglia di lavorare di nuovo con Luca e di raccontare una storia che avesse delle fondamenta solida, ma questa volta nel Midwest americano degli anni ’80, su persone completamente emarginate“.

Bones & All è stato presentato in anteprima mondiale alla 79a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia il 2 settembre 2022, e verrà distribuito il 23 novembre 2022 dalla Metro-Goldwyn-Mayer (attraverso la United Artists Releasing) negli Stati Uniti e altrove dalla Warner Bros. Pictures, ad eccezione dell’Italia, dove sarà distribuito da Vision Distribution.

MCU: 10 meme che riassumono il personaggio di Hulk

Con l’uscita della serie She-Hulk su Disney+, è tornato in azione anche il mitico Bruce Banner. Accanto alla cugina Jennifer WaltersHulk funge da mentore e guida l’eroina nella scoperta dei suoi poteri. Il personaggio di Mark Ruffalo è uno degli Avengers più amati dell’MCU. Dal 2012 fino ad oggi, i fan hanno visto il supereroe calato in ogni tipo di situazione. I grandi momenti di Hulk hanno alimentato la creazione di meme sul web: ecco 10 post che racchiudono perfettamente la storia di Bruce Banner all’interno dell’MCU.

Hulk ha paura di Thanos

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Il meme riportato qui sopra dipinge ironicamente la paura, spesso ingiustificata, di HulkKevin Feige aveva annunciato che già dai primi 15 minuti di Avengers: Infinity War si sarebbe capito perché Thanos era il più grande e cattivo MCU mai affrontato dai Vendicatori.

La promessa è stata certamente mantenuta. Non a caso, dopo un primo conflitto con il Titano Pazzo, Hulk si è spaventato così tanto da sparire per tutta la durata del film. Anche se, vista la sua potenza, Hulk avrebbe potuto sconfiggere Thanos in un secondo scontro, Bruce Banner ha preferito evitare la rivincita

I pantaloni di Hulk

hulk mcu pants

Dal martello di Thor allo scudo di Capitan America, ogni Avengers ha la propria arma indistruttibile. Tuttavia, la cosa più resistente di tutte all’interno dell’MCU sono i pantaloni di Bruce Banner: nei primi film, ogni volta che Hulk si trasforma, i suoi jeans rimangono miracolosamente intatti, a parte qualche strappo.

Questo vale principalmente per la Fase 1, mentre nei film successivi i pantaloni di Hulk sono stati realizzati su misura per la sua dimensione accresciuta. Il mistero dei pantaloni modellabili di Bruce rimane comunque materia di meme.

Hulk e Natasha

La relazione tra Banner e Natasha Romanoff è stata essenziale per lo sviluppo del personaggio di Hulk ed è stato bello vedere due Vendicatori, entrambi carenti in pace e felicità, riunirsi e fare uscire l’uno il meglio dall’altro.

Solo con Avengers: Age of Ultron i fan hanno potuto vedere fino in fondo l’effetto di Natasha su Bruce Banner. Purtroppo però, Natasha è scomparsa in Avengers: EndgameAnche se i due non possono portare avanti la relazione, per molti fan il loro amore rimane uno dei migliori dell’MCU, in grado di fornire scene estremamente emotive e potenti.

L’origine dei suoi poteri

Più Hulk si arrabbia, più diventa forte. Non a caso, in The Avengers Bruce Banner rivela a Capitan America che il segreto della sua forza è essere sempre arrabbiato. Così, nel caso in cui Bruce dovesse dimenticare come ottenere i suoi poteri, i fan suggeriscono una soluzione. Il fastidio perché non li trova sarebbe sufficiente per fare esplodere tutta la sua veemenza.

Credible Hulk

The Hulk gained some serious credibility in Endgame
byu/wonder_wolfie inmarvelmemes

Parte di ciò che inizialmente ha reso Hulk celebre è stata la sua mancanza di intelligenza e il suo essere pura fisicità. Ma l’Hulk che i fan vedono in seguito nell’MCU è molto diverso da quello a cui sono stati introdotti nel 2012. Non solo impara a parlare con gli altri, ma nella versione Smart Hulk può usufruire di tutta l’intelligenza della mente scientifica di Bruce Banner.

Smart Hulk ama trascorrere il suo tempo leggendo e citando articoli ed è proprio grazie a questa versione – più credibile e meno incredibile – di Hulk che gli Avengers riescono a sconfiggere Thanos in Endgame.

La trasformazione finale

Una delle dinamiche più avvincenti dei film MCU è la trasformazione di Bruce Banner in Hulk e viceversa. Si può anche notare com’è cambiata la CGI nel corso degli anni. Le prime versioni di Hulk oggi fanno abbastanza sorridere e, proprio per questo, costituiscono ottimo materiale per la creazione dei meme.

Un protettore leale

https://twitter.com/yellow_spandex/status/1126422752217456640?ref_src=twsrc%5Etfw%7Ctwcamp%5Etweetembed%7Ctwterm%5E1126422752217456640%7Ctwgr%5E35b8cf7594828896fd046676af363f0695ddedc5%7Ctwcon%5Es1_&ref_url=https%3A%2F%2Fscreenrant.com%2Fmcu-memes-perfectly-sum-up-the-incredible-hulk-character%2F

Fino a Avengers: Endgame, l’Incredibile Hulk era l’opzione più violenta in battaglia. Questo non vuol dire che Hulk, nella sua forma originale, fosse completamente privo di coscienza.  Tuttavia, quando Hulk e Bruce si sono fusi insieme, la personalità di Bruce ha totalmente prevaricato su quella del supereroe MCU. Mai prima di Avengers: Endgame i fan avrebbero pensato di vedere Smart Hulk che porge gentilmente un tacco a Ant-Man, eppure è successo.

Il nuovo Smart Hulk

La trasformazione di Hulk in Smart Hulk ha diviso i fan: alcuni hanno amato le nuove vesti dell’eroe mentre altri non erano troppo entusiasti della direzione presa dall’MCU per il personaggio.

D’altronde, parte di ciò che rende Hulk un guerriero così feroce è la sua irrazionalità. Al contrario, Smart Hulk è sia muscoli che cervello, cosa che comporta un sacco di contemplazioni e di strategie in più per Bruce Banner. Chissà cosa causerà questa duplicità. I fan intanto scherzano sui possibili conflitti interiori del personaggio…

Una battaglia impari

MCU hulk is a total pansy
byu/Ajarofpickles97 inmeme

Mettere a confronto Smart Hulk con la versione del personaggio nel primo film dei Vendicatori o con quella di Edward Norton è un’attività amata dai fan. In effetti, Smart Hulk non è paragonabile al veemente Hulk originario. È sicuro che se i due dovessero scontrarsi, la versione originale vincerebbe a mani basse. I fan scherzano sulla pericolosità dell’Hulk di Norton: è un po’ come il ragazzo palestrato che minaccia ogni fidanzato tranquillo e per bene.

Il vero eroe

Angry hulk >:(
byu/ryeetan inmemes

Anche se Avengers: Endgame si è concentrato principalmente sul sacrificio di Tony Stark e sulla fine di Capitan America (Chris Evans), i fan non devono dimenticare il ruolo dell’Incredibile Hulk nel film. È lui che ha risolto i viaggi nel tempo, ha indossato il Guanto dell’Infinito e ha schioccato le dita.

Inoltre, nella battaglia finale Hulk ha dato il suggerimento – poi rivelatosi corretto – di riportare le Pietre nel loro luogo d’origine, mentre Capitan America ha erroneamente detto a Ant-Man di ”portarle il più lontano possibile”. Come il meme ci mostra, Hulk meritava un po’ più di riconoscimento.

Venezia 79: arriva in concorso il film di Romain Gavras, Athena

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Oggi oltre al film di Luca Guadagnino arriva anche Athena di Romain Gavras  che verrà presentato in concorso alla 79esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Il film prodotto da Iconoclast (Charles-Marie Anthonioz, Mourad Belkeddar, Jean Duhamel, Nicolas Lhermitte), Lyly Films (Ladj Ly), Romain Gavra, vede protagonisti Dali Benssalah, Sami Slimane, Anthony Bajon, Ouassini Embarek, Alexis Manenti.

La trama di Athena

Dopo la morte del fratello minore a causa di un presunto scontro con la polizia, Abdel viene richiamato a casa dalla prima linea e ritrova la sua famiglia devastata. Intrappolato tra il desiderio di vendetta del fratello minore Karim e gli affari criminali del fratello maggiore Moktar, cerca con fatica di calmare le tensioni sempre più aspre. Quando però la situazione degenera, Athena, la loro comunità, si trasforma in una fortezza sotto assedio, diventando così la scena di una tragedia per la famiglia e non solo…

Il commento del regista

La tragedia greca ha sempre ispirato la mia vita e la mia formazione. Mi affascinano il suo significato simbolico, il concetto di unità di tempo e iI modo di trascendere la realtà, e desideravo avvicinarmi il più possibile a questo metodo di narrazione, per tradurlo in immagini e creare un’esperienza cinematografica immersiva. Athena potrebbe essere ambientato in ogni epoca, del passato o del futuro. Dietro ogni guerra si nasconde infatti una manipolazione, una bugia originale; la storia si ripete, dalla guerra di Troia ai conflitti contemporanei. Ci sono sempre forze nell’ombra che nutrono l’ostilità: sanno che quando il dolore intimo è troppo grande, la violenza acceca il pensiero, e quando la nazione è fragile, è facile spingerla nel baratro.

Bones and All: oggi Luca Guadagnino e Timothée Chalamet in concorso a Venezia 79

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Oggi sarà il grande giorno di Bones and All di Luca Guadagnino che verrà presentato in concorso alla 79esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Il regista italiano candidato all’Oscar sarà accompagnato dai suoi protagonisti Timothée Chalamet, Taylor Russell, Mark Rylance, André Holland, Jessica Harper, Michael Stuhlbarg, David Gordon-Green, Francesca Scorsese, Chloe Sevigny.

Bones and All è prodotto da Frenesy Film Company (Luca Guadagnino), Per Capita Productions (Theresa Park), The Apartment Pictures (Lorenzo Mieli), MeMo Films (Francesco Melzi d’Eril, Gabriele Moratti), 3MARYS (Giovanni Corrado, Raffaella Viscardi), Dave Kajganich, Marco Morabito, Peter Spears.

La trama di Bones and All

Il primo amore sboccia tra Maren, una ragazza che sta imparando a sopravvivere ai margini della società, e Lee, un vagabondo dai sentimenti profondi. I due si incontrano e intraprendono un’odissea lunga mille miglia che li porterà attraverso le strade secondarie, i passaggi segreti e le botole dell’America di Ronald Reagan. A dispetto degli sforzi profusi, tutte le strade riconducono al loro terrificante passato e a un’ultima battaglia che determinerà se il loro amore potrà sopravvivere alla loro alterità.

Il commento del regista

C’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società che mi attira e commuove. Amo questi personaggi. Il cuore del film batte teneramente e affettuosamente nei loro confronti. Mi interessano i loro viaggi emotivi. Voglio vedere dove si aprono le possibilità per loro, intrappolati come sono nelle impossibilità cheC’è qualcosa nei diseredati, in coloro che vivono ai margini della società che mi attira e commuove. Amo questi personaggi. Il cuore del film batte teneramente e affettuosamente nei loro confronti. Mi interessano i loro viaggi emotivi. Voglio vedere dove si aprono le possibilità per loro, intrappolati come sono nelle impossibilità che devono fronteggiare. Vedo questo film come una meditazione su chi siamo e come possiamo superare quello che sentiamo, soprattutto se si tratta di qualcosa che non riusciamo a controllare. Infine, e soprattutto, quando riusciremo a ritrovarci nello sguardo dell’altro?devono fronteggiare. Vedo questo film come una meditazione su chi siamo e come possiamo superare quello che sentiamo, soprattutto se si tratta di qualcosa che non riusciamo a controllare. Infine, e soprattutto, quando riusciremo a ritrovarci nello sguardo dell’altro?

Joker: Folie à Deux, new entry di rilievo nel cast del film!

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Deadline rivela che l’attore Brendan Gleeson è l’ultima aggiunta al sequel di Joker di Todd Phillips, Joker: Folie à Deux. Non si sa chi interpreterà l’attore irlandese e siamo sicuri che molti di voi lo riconosceranno dal suo periodo nel franchise di Harry Potter come Malocchio Moody. Tuttavia, l’attore ha una lunga lista di crediti impressionanti nella sua carriera, tra cui In Bruges, Calvary e The Guard. Lo vedremo poi in  The Banshees of Inisherin al fianco di Colin Farrell e Martin McDonagh che sarà presentato in questi giorni alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.

Joaquin Phoenix riprenderà il suo ruolo del Clown Prince of Crime nel sequel, con Lady Gaga che si unirà a lui come un personaggio che molti credono sia una nuova versione di Harley Quinn. Recentemente è stato anche confermato che Zazie Beetz riprenderà il suo ruolo dal primo film.

Il film sequel Joker: Folie à Deux

Alcune dettagli rivelati ci indicano che le riprese del film inizieranno a girare a dicembre, con Phillips che dirigerà da una sceneggiatura che ha scritto con Scott Silver. Pochi dettagli della trama sono stati condivisi, anche se gli addetti ai lavori ritengono che l’azione sarà ambientata principalmente all’interno di Arkham Asylum e presenterà elementi musicali. Questo è un approccio unico e potrebbe essere sorprendente. Joker: Folie à Deux è l’unico film della DC Comics ad aver ricevuto il via libera nell’era della Warner Bros. Discovery, ed è chiaro che questo è un franchise in cui lo studio ha molta fiducia.

Nel 2019,  Joker  è diventato il primo film R-Rated a incassare oltre 1 miliardo di dollari al botteghino mondiale. Ha anche ottenuto 12 nomination all’Oscar, quindi le voci secondo cui il regista Todd Phillips possa cambiare improvvisamente tocco e riferimenti ai fumetti potrebbero non essere vere. Tuttavia, non è una brutta cosa, ovviamente, dato che il primo capitolo è stato un grande film che ha offerto una versione fresca e originale del Joker.

Alejandro G. Iñárritu sul red carpet di Venezia 79

Il premio Oscar Alejandro G. Iñárritu sul red carpet della 79esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia insieme al suo cast per presentare in concorso Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades. Ecco tutte le foto della serata.

Una settimana da Dio: tutte le curiosità sul film con Jim Carrey

Negli anni Novanta Jim Carrey era l’attore più popolare del mondo, nonché uno dei primi a ricevere compensi milionari per i suoi film campioni di incassi. In quegli anni egli ha recitato in lungometraggi come Scemo & più scemo, Ace Ventura – L’acchiappanimali, The Mask – Da zero a mito e Bugiardo bugiardo, che lo hanno consacrato come re della commedia statunitense. Nel 2003 egli ha poi preso parte ad un’altra commedia campione di incassi, affermatasi come uno dei più popolari e amati film di questo genere di sempre: Una settimana da Dio, diretto da Tom Shadyac, già regista del primo Ace Ventura.

Tutti conoscono questo film, che lo abbiano effettivamente visto o meno. Si tratta di un’opera entrata nell’immaginario comune grazie ai suoi personaggi, alla buffa vicenda, alle gag e frasi ormai iconiche e alle profonde riflessioni sul significato dei miracoli e sulle misteriose vie in cui Dio opera. Per quanto la storia fosse brillante, nessuno riuscì ad immaginare il successo poi ottenuto da questo film, capace con 484 milioni di dollari di diventare il quinto maggior incasso del suo anno.

Per chi è in cerca di una commedia demenziale ma ricca anche di sentimenti e insegnamenti sulla vita, Una settimana da Dio rimane un titolo perfetto anche a distanza di anni, che diverte ed emoziona ogni volta come fosse la prima. Prima di intraprendere una visione del film, però, sarà certamente utile approfondire alcune delle principali curiosità relative a questo. Proseguendo qui nella lettura sarà infatti possibile ritrovare ulteriori dettagli relativi alla trama, al cast di attori e al suo sequel. Infine, si elencheranno anche le principali piattaforme streaming contenenti il film nel proprio catalogo e le frasi più belle che si possono ascoltare in esso.

Una settimana da Dio: la trama e il cast di attori

Protagonista del film è il reporter televisivo Bruce Nolan, sempre impegnato in servizi frivoli a causa del suo carattere sempre incline alla comicità. Bruce, però, è stanco di quella vita da buffone e vive una serie di sfortune quotidiane che lo portano infine ad incolpare Dio di tutto quello che gli capita. Quando infine Dio risponde realmente alle sue lamentele, Bruce si trova a stringere con lui un patto. Per una settimana sarà dotato di tutti i suoi poteri e si troverà dunque a gestire il tutto così come vorrebbe che lo facesse Dio. Per quanto la cosa risulti inizialmente elettrizzante, ben presto Bruce capirà di quante responsabilità comporti quel lavoro.

Come anticipato, protagonista assoluto del film è l’attore Jim Carrey, qui nei panni di Bruce Nolan. Particolarmente legato a questo progetto, Carrey richiese di poter eseguire anche fino a 30 volte una stessa scena, così da ricercare il miglior risultato possibile. Accanto a lui, nei panni di Dio vi è l’attore Morgan Freeman, oggi ancora associato il più delle volte proprio a questo ruolo. Nonostante interpreti il Creatore, Freeman è in realtà agnostico, ovvero è scettico riguardante l’esistenza di Dio ma non ne esclude la presenza. Prima di lui, per la parte, erano stati considerati anche gli attori Jack Nicholson e Robert De Niro.

Nel film recita poi l’attrice Jennifer Aniston nei panni di Grace Connelly, la fidanzata di Bruce. Per l’attrice il set è stato tutt’altro che semplice, poiché ad un certo punto si è trovata a girare nello stesso periodo Una settimana da Dio, la serie Friends e il film … e alla fine arriva Polly. Grazie a questo film è invece diventato celebre l’attore Steve Carell, qui in uno dei suoi primi ruoli per il cinema. Egli interpreta Evan Baxter, il rivale di Bruce al telegiornale. Completano il cast gli attori Philip Baker Hall nei panni di Jack Baylor, il capo di Bruce, e Catherine Bell, in quelli della seducente giornalista Susan Ortega.

Una settimana da Dio film

Una settimana da Dio 2: il sequel del film

Come noto, nel 2007 è stato realizzato un sequel del film che è allo stesso tempo anche uno spin-off. Il titolo di questa pellicola è Un’impresa da Dio ed ha per protagonista non Bruce Nolan ma il suo ex rivale Evan Baxter. Questi, interpretato ancora una volta da Carell, viene chiamato da Dio a costruire un’Arca per un nuovo imminente diluvio universale. Nonostante un discreto successo al box office, questo spin-off è stato accolto in modo molto più freddo rispetto a Una settimana da Dio, non reggendo il confronto né da un punto di vista comico né tematico.

Una settimana da Dio: il trailer, le frasi più belle e dove vedere il film in streaming e in TV

È possibile fruire di Una settimana da Dio grazie alla sua presenza su una delle più popolari piattaforme streaming presenti oggi in rete. Questo è infatti disponibile nel catalogo di Chili Cinema. Per vederlo basterà noleggiare il film, avendo così modo di guardarlo in totale comodità e al meglio della qualità video per un periodo limitato di tempo. Il film è inoltre presente nel palinsesto televisivo di giovedì 1 settembre alle ore 21:25 sul canale Nove.

Qui di seguito si riportano invece alcune delle frasi più belle e significative pronunciate dai personaggi del film. Attraverso queste si potrà certamente comprendere meglio il tono della pellicola, i suoi temi e le variegate personalità dei protagonisti. Ecco dunque le frasi più belle del film:

  • La vita è un biscotto ma se piove si scioglie! (Bruce)
  • La gente sottovaluta i vantaggi del buon vecchio lavoro manuale, dà un grande senso di libertà. Alcune delle persone più felici del mondo vanno a casa la sera che puzzano di sudore. (Dio)
  • Io sono Bruce l’onnipotente: sia fatta la mia volontà! (Bruce)
  • Addio WKBW, che vuol dire… Waffankulo brutti Wacconi! (Bruce)
  • Per quanto sporca possa diventare una cosa, puoi sempre dargli una bella ripulita. (Dio)
  • Dividere la minestra non è un miracolo, Bruce, è un trucchetto. Una madre sola che deve fare due lavori e che trova ancora il tempo di accompagnare il figlio a scuola di calcio, quello sì che è un vero miracolo. Un adolescente che dice di no alla droga e dice sì all’istruzione, questo è un miracolo. Le persone vogliono che faccia tutto io e non si rendono conto che sono loro ad avere il potere. Vuoi vedere un miracolo, figliolo? Sii il tuo miracolo! (Dio)

Fonte: IMDb